Rolleiflex 3.5F: una ammiraglia sempreverde

Indice dell'articolo

Nessuna altra macchina fotografica ha raggiunto la popolarità della Rolleiflex nelle due versioni 2.8F e 3.5F.

Questo che segue è probabilmente l’articolo più esaustivo che puoi trovare sulle caratteristiche di questo apparecchio.

La sua versatilità e l’accuratezza costruttiva, l’ha fatta diventare la fotocamera più diffusa fra professionisti ed amatori negli anni ’60 e successivi.

Non c’era Paparazzo su Via Veneto che non impugnasse una Rolleiflex, e per molti importanti fotografi era il loro principale strumento di lavoro.

Paparazzi a Via Veneto. La Rolleiflex in primo piano.

Paparazzi a Via Veneto. La Rolleiflex in primo piano.

La famosa fotografa Vivian Maier, il cui lavoro fu scoperto e conosciuto dopo la sua morte, si volle immortalare riflessa in una vetrina di New York, mettendo in evidenza proprio la sua Rolleiflex. Molti hanno copiato questa inquadratura e addirittura Oriana Fallaci si fece affascinare dallo scatto, tanto da ripeterlo, praticamente identico, sempre con la stessa fotocamera, e una sigaretta in più, fra le mani.

Vivian Maier e Oriana Fallaci

Sulla sinistra la foto di Vivian Maier mentre sulla destra l’emulazione di Oriana Fallaci.

La macchina della mia infanzia

L’apparecchio, di cui approfondiremo tutti gli aspetti, era di mio padre. Lo comprò, appassionato com’era di fotografia, poco dopo la mia nascita ed è stata la macchina attraverso cui mi ha insegnato a fotografare.

I ricordi che ritrovo negli album di famiglia sono tutti 6×6. Dei miei genitori, miei e di mia sorella. Era per me, semplicemente, “LA” macchina fotografica. Solo successivamente scoprii l’eccezionalità dello strumento, la straordinaria versatilità che offriva.

Perché è nata la Rolleiflex?

Una delle limitazioni più importanti delle macchine fotografiche a lastre (siamo agli inizi del ‘900) consisteva nel fatto che, per inquadrare era necessario osservare la scena, vista dall’obiettivo, su un vetro smerigliato. Poi, una volta scelta l’inquadratura e la messa a fuoco, si inseriva lo chassis con la pellicola e finalmente si scattava la foto.

Per tutto questo necessitava un cavalletto. E non era possibile scattare foto dinamiche, con scelta veloce dell’inquadratura.

Già alla fine del XIX secolo, alcuni fabbricanti realizzavano macchine con doppia ottica, una per l’inquadratura e l’altra, con la lastra già montata, per lo scatto.

Ma erano molto ingombranti e pesanti. Il sistema reflex monoottica era ancora molto lontano a venire.

Due ex dipendenti della Voigtländer: Paul Franke e Reinhold Heidecke, dopo vari esperimenti, nel Gennaio del 1929 presentarono sul mercato la prima Rolleiflex, una reflex biottica che utilizzava rullini fotografici formato 120 per 12 scatti 6×6 e formato 220 per 24 scatti. Montando l’adattatore Rolleikin, si può scattare anche con il diffusissimo 135, arrivando a 36 scatti.

Un piccolo approfondimento

Interessante la storia di come si è arrivati a questa fotocamera incredibilmente innovativa. Nei post del Laboratorio Fotografico Ligure di Sandro Presta ho trovato molti dettagli di questo percorso di evoluzione delle meccaniche che troviamo nella Rolleiflex.

Già quando era ancora dipendente della Voigtländer, Reinhold Heidecke mise su carta l’idea di una macchina con doppia ottica e che utilizzava un rullo al posto di lastre fotografiche. I vertici della casa però non credevano nel progetto, convinti della “non planarità” delle pellicole rispetto alle lastre.

Da bravo visionario (nel senso migliore del termine), Heidecke si licenziò ed insieme al socio finanziatore Paul Franke, fondò, nel 1919, la Franke&Heidecke. Producevano principalmente macchine stereoscopiche. Nel 1927 realizzarono il primo prototipo della Rolleiflex che iniziarono a vendere nel 1929.

Una curiosità, il nome Rolleiflex deriva da tre parole: Roll(film) – pellicola in rotolo; (H)ei(decke) – il cognome del fondatore; (Spiegelre)flexspecchio a riflessione.

Anni dopo, la “invidiosa” Voigtländer copiò l’idea di Heidecke, ma le venne intentata una causa che perse, per aver violato troppi brevetti. Negli anni successivi addirittura la Voigtländer fu assorbita dalla Franke&Heidecke. Un vero smacco.

Per chi vuole sapere di più sulla Rolleiflex Standard Alt K2.621, prodotta fra il 1932 ed il 1935, la prima che raccoglie in se molte delle innovazioni che ritroviamo poi sui successivi modelli, suggerisco la lettura dell’interessante ed esaustivo post di Sandro Presta.

Con le innovative soluzioni tecniche dei due progettisti, si ottenne una macchina maneggevole, leggera, resistente ad un uso dinamico e soprattutto con la possibilità di inquadrare e scattare praticamente in contemporanea. Negli anni ’60 la macchina si era evoluta di molto, e vedremo ora come.

Come è fatta

Prendere in esame questa macchina fotografica è una continua scoperta di dettagli e tecnologie molto interessanti.

Cerchiamo di analizzarne le varie componenti.

Come capire che versione è

Il secondo elemento che ci fa immediatamente riconoscere questa macchina, dopo i suoi caratteristici obiettivi sovrapposti, è la lunga lente dell’esposimetro, proprio sotto la scritta “ROLLEIFLEX” ben in evidenza.

Appena sopra questa scritta, sul piccolo spessore dell’alloggiamento dell’esposimetro, ci sono impresse delle sigle. Vediamo il loro significato.

Il dettaglio dei codici sul corpo della Rollei

Il dettaglio dei codici sul corpo della Rolleiflex

DBP sta per Deutshes Bundes Patent (Brevetto Federale Tedesco) mentre DBGM per Deutshes Bundes Gebrauch-Muster (Modello di Utilità Federale Tedesco) equivale al nostro “Modello registrato”.

Al centro, una scritta più piccola, indica il modello. Nel nostro caso la 3.5F. Poi il numero di serie che ci indica il periodo di fabbricazione.

In questa pagina http://www.massacarrara.net/fotografia-RolleIt/ROLLEIFLEX-%20Numeri%20di%20Serie%20ed%20anni%20Produzione32.htm puoi trovare la tabella con tutti i numeri di serie che permettono di identificare le caratteristiche tecniche di ogni singola macchina ed il periodo di fabbricazione.

Nel caso specifico dell’esemplare in foto veniamo a sapere che si tratta Rolleflex 3.5F con mirino a pozzetto sfilabile, l’esemplare è con il contapose quindi realizzata dopo il 1965. Tipo K4F. Obiettivo principale: Carl Zeiss Planar 75mm/f.3,5. Obiettivo secondario: Schneider Xenotar 75mm/f.3,5 a 6 lenti. Otturatore: Syncro Compur MXV/CR00 1/500. Di questa in particolare, ne furono prodotte 71.000 unità.

E adesso sappiamo tutto, o quasi.

Il pozzetto

Aprendo il pozzetto, utile all’inquadratura, ci rendiamo conto di maneggiare un piccolo capolavoro di ingegneria.

Per aprirlo basta tirar su il coperchio e le componenti racchiuse all’interno si posizioneranno a formare uno schermo nero attorno al vetro smerigliato dove vediamo l’immagine inquadrata.

Una breve nota su questa immagine: è diritta verticalmente e ribaltata orizzontalmente; serve un po’ di dimestichezza per le inquadrature rapide.

Una volta aperto si notano diversi dettagli al suo interno e scopriremo che ci sono ben quattro modalità per inquadrare la scena.

La più semplice è quella di osservarla sul vetro smerigliato. Si posiziona la macchina secondo l’inquadratura voluta e si mette a fuoco (dopo vedremo in dettaglio su quale manopola agire), osservando sia l’immagine che il telemetro, quest’ultimo è un cerchietto più lucido e luminoso, al centro dello schermo, diviso in due. Le due porzioni di immagine nel cerchietto risulteranno disallineate se fuori fuoco, perfettamente allineate se a fuoco. E qui si può scattare.

Se vuoi osservare più finemente l’immagine, basterà fare pressione sul riquadro mobile nel lato sul fronte del pozzetto e si alzerà, all’interno, una lente di ingrandimento che permette di guardare i dettagli dell’immagine sul vetro smerigliato. Era (ed è) possibile montare lenti di diverso potere per compensare le eventuali ametropie del fotografo (miopia, ipermetropia, presbiopia).

Altre modalità

Però si può fare di più. Premendo fino a fine corsa in riquadro mobile citato prima, questo si bloccherà in posizione inclinata dentro al pozzetto.

In questo modo avremo altre due modalità di inquadratura. Sul lato posteriore del pozzetto troviamo un buco quadrato, attraverso il quale osservare direttamente la scena (nella prima foto dell’articolo, quella dei Paparazzi in Via Veneto, si vede in fotografo inquadrare proprio in questo modo), trovi inoltre una piccola lente dove si vede l’immagine sul vetro smerigliato riflessa dallo specchietto trapezoidale sul retro del riquadro mobile.

In questo caso l’immagine sarà completamente rovesciata, sia in verticale che in orizzontale.

Nel filmato che trovi alla fine dell’articolo puoi vedere tutti i dettagli del funzionamento del pozzetto.

Il caricamento della pellicola

Il coperchio dell’alloggiamento della pellicola ha una particolare forma ad L, che segue la forma del corpo macchina.

Il sistema di apertura e chiusura è unico nel suo genere. Sul fondo della macchina troviamo una serie di elementi: l’attacco a vite per il cavalletto; quattro piedini metallici per l’appoggio della macchina su un piano; le leve di apertura e chiusura del coperchio della pellicola.

Proprio di queste ultime parliamo ora.

Il meccanismo di apertura del dorso della Rolleiflex

Il meccanismo di apertura del dorso della Rolleiflex

Quando è chiuso, il meccanismo si trova nella posizione che vedi a sinistra nell’immagine sopra. Per aprirlo occorre ruotare la parte girevole del meccanismo nella direzione indicata dalla evidente freccia, come puoi vedere nell’immagine a destra. Questo permette di sbloccare la levetta che sgancia il coperchio. Una volta alzata questa, il coperchio si può aprire completamente.

La chiusura si ottiene con i movimenti eseguiti all’inverso: si abbassa la levetta e poi si riposiziona la parte girevole allineata con la levetta. Quest’ultimo movimento genera una lieve trazione della levetta di chiusura, assicurando la tenuta alla luce in modo perfetto.

La cura di questi piccoli ma essenziali dettagli ci danno la misura dell’enorme sforzo progettuale e meccanico messi in atto in questa incomparabile macchina fotografica.

Il filmato ti farà vedere meglio questi piccoli, grandi segreti.

Come caricarla

Una volta posizionato il rocchetto vuoto nell’alloggiamento più in alto, quello verso il pozzetto, si posiziona quello pieno (il rollfilm) nell’altro alloggiamento, quello con la strana molla elastica di metallo sottile.

Si prende la linguetta di carta del rollfilm e la si fa passare sotto il primo rullino di scorrimento, poi si introduce la linguetta di carta nella fessura del rocchetto vuoto. Se la fessura non fosse visibile, basta farlo ruotare un po’ per mezzo della manovella.

Una volta che la linguetta è inserita, tendere la pellicola con mezzo giro di manovella tenendo, nello stesso tempo, premuto con il pollice il rollfilm.

La pellicola passa fra i due rullini di scorrimento per un motivo ben preciso. Lo spazio fra i due rullini fa da sensore per rilevare lo spessore, all’inizio della sola carta, poi dell’insieme carta-pellicola. Sensore che da indicazione al contapose su quando iniziare a considerare la presenza della pellicola.

Si chiude infine il coperchio del dorso e, si comincia a scattare.

Le pellicole

La Rolleiflex può utilizzare ben 3 formati di pellicola (non in tutti i modelli). Il 120, il 220 ed il 135, quest’ultimo con uno specifico adattatore.

I due formati: 120 e 220 permettono di fare foto formato 6×6, la dimensione massima consentita dalla macchina ma, quale è la differenza fra i due?

Il formato 120

Il 120 è costituito da una pellicola fotosensibile avvolta sul rullo assieme ad una nastro di carta, di uguale lunghezza, che ha la tripla funzione di: riportare i numeri delle foto (visibili in alcune macchine, non le Rolleiflex,  attraverso una finestrella protetta da un vetrino rosso); di proteggere la pellicola dalla luce che entra dalla finestrella rossa; di proteggere la pellicola dalla luce nelle fasi di caricamento e scaricamento dalla macchina.

La Rolleiflex non ha questa finestrella rossa e quindi il nastro di carta non ha alcuna importanza nell’utilizzo su questa macchina. Il 120 però era di più facile reperibilità, era semplice da caricare e scaricare in luce diurna ed aveva un costo più contenuto. I fotografi amatoriali utilizzavano principalmente questo.

Si potevano scattare fino a 12 negativi nel formato 6×6, come detto.

Due rulli fotografici della stessa epoca della macchina di cui stiamo parlando.

Due rulli fotografici della stessa epoca della macchina di cui stiamo parlando.

Il formato 220

Su alcune versioni della Rolleiflex il contapose può arrivare fino a 24 scatti. Su queste versioni si può utilizzare formato il 220 che non prevedeva il nastro di carta. Questa caratteristica ne limitava l’uso solo su macchine che non avevano la finestrella per controllare l’avanzamento della pellicola, inoltre il caricamento e scaricamento poteva avvenire solo in camera oscura.

Permetteva però, non essendoci lo spessore della carta, di aumentare la quantità di pellicola, arrivando così a poter scattare 24 negativi 6×6 in un unico rullino. Era utilizzato principalmente dai professionisti.

Il formato 135

Molti fotografi, all’epoca, preferivano utilizzare il nascente formato 135, più semplice da maneggiare, più piccolo nel formato ma ancora abbastanza grande per poter ottenere ingrandimenti di qualità.

I geniacci Paul Franke e Reinhold Heidecke, considerarono anche questo, offrendo agli utenti della Rolleiflex la possibilità di utilizzare il “moderno” 135mm.

Occorreva però montare l’adattatore Rolleikin, che puoi vedere nell’immagine qui sotto e spostare lo spingipellicola posto all’interno del coperchio del dorso.

L'adattatore Rolleikin nella sua custodia

L’adattatore Rolleikin nella sua custodia

Una volta montate le varie componenti dell’adattatore sulla macchina (c’era un manuale a parte), si poteva utilizzare il rullino 135. Il formato, in questo caso era il 24×36, si perdeva un po’ in risoluzione ma, vuoi mettere? Scattare foto con lo Zeiss Planar su un rullo 35mm? E poi, si arrivava a scattare fino a 36 fotografie! I Paparazzi erano felicissimi.

La manovella

Un’altra genialata dei due soci fu la realizzazione della manovella di caricamento.

La manovella per l'avanzamento della pellicola e caricamento dell'otturatore

La manovella per l’avanzamento della pellicola e caricamento dell’otturatore

Con un giro di manovella si fa avanzare la pellicola e si carica l’otturatore, in un colpo solo!

Questo permette di scattare foto in rapida sequenza. Non siamo ai livelli di uno scatto multiplo con più di 10 fotogrammi al secondo, come offrono le attuali digitali, ma per l’epoca era una novità assoluta e straordinariamente accattivante.

Nella fotografia sportiva, nella Street Photography, nei reportage, fu una vera rivoluzione.

Il contapose

Sullo stesso lato della manopola troviamo una cornicetta cromata di forma circolare (si vede nella foto sopra, con il numeratore sullo zero), questa ci fa vedere il contapose, un numerino che scorre ad ogni giro di manopola. Avendo così sotto controllo quante foto sono state scattate. Questa soluzione ha permesso di evitare la finestrella rossa per vedere a quale punto della pellicola siamo arrivati e la possibilità di utilizzare il formato di pellicola 220.

L’impostazione della sensibilità della pellicola

Per far funzionare correttamente l’esposimetro integrato, occorre impostare la sensibilità della pellicola che stiamo utilizzando.

La scala va da 17 ASA (12 DIN) a 1600 ASA (33 DIN), bel range per quei tempi!

Una comoda ghiera sul lato sinistro dell’apparecchio permette, con una semplice pressione e rotazione del pollice, di regolare tale impostazione ma, la ghiera consente un’altra ulteriore finezza.

Il corredo della Rolleiflex prevedeva numerosi filtri, sia per il bianco e nero che per il colore. Ogni filtro, allora come oggi, ha un fattore di assorbimento della luce e quindi, inserendo un filtro davanti all’obiettivo, la luce in entrata è minore di quella letta dall’esposimetro.

Ogni filtro aveva riportato il valore del fattore di assorbimento. La ghiera più grande, attorno a quella piccola della regolazione della sensibilità, permette di correggere la lettura dell’esposimetro in funzione al filtro montato. La scala va da 0 a 3 con step di 0,5.

Una volta montato il filtro e letto sulla sua montatura il fattore di assorbimento, basta impostare tale valore con questa ghiera e l’esposimetro corregge i valori, indicando la giusta esposizione caso per caso. Ehi, tutto questo su una macchina del 1960!

La messa a fuoco

Dicevamo prima che la messa a fuoco si può controllare attraverso il vetro smerigliato, sia direttamente che attraverso le due lenti di ingrandimento posizionate sul pozzetto.

Ma come si regola?

Si agisce sulla grande manopola sul lato sinistro. Ruotandola, la parte anteriore della macchina dove sono alloggiati i due obiettivi, avanza ed indietreggia, regolando così la focheggiatura.

La grande manopola per la messa a fuoco

La grande manopola per la messa a fuoco

I due obiettivi si muovono assieme, in modo che la messa a fuoco che vediamo sul vetro smerigliato (data dall’obiettivo secondario) è uguale a quella che l’obiettivo primario proietterà sulla pellicola.

Si regola la manopola fino a vedere l’immagine a fuoco e le due porzioni nel cerchietto del telemetro perfettamente coincidenti.

L’esposizione

La Rolleiflex di cui ci stiamo occupando è equipaggiata con un esposimetro Gossen. Vediamo come farne uso.

La lente del sensore dell’esposimetro è posizionata sopra il gruppo ottico, parallela alla scritta ROLLEIFLEX sul frontale e viene investita dalla stessa luce che colpisce gli obiettivi.

La lancetta che ci dice quanta luce sta arrivando, è sul gruppo che incorpora anche la ghiera della messa a fuoco, ben visibile mentre impugnamo la fotocamera per lo scatto. La lancetta si posizionerà in funzione della quantità di luce che colpisce il sensore.

Per regolare la giusta esposizione si dovrà posizionare la lancetta con il cerchietto, esattamente in corrispondenza della lancetta diritta.

Per far questo dovrai agire sulle due ghiere posizionate fra i due obiettivi. Quella di destra regola i tempi, quella di sinistra regola il diaframma. La combinazione fra i due parametri ti permette di regolare la giusta esposizione. L’obiettivo, come detto, è quello di far coincidere la lancetta che termina con un cerchietto con la lancetta diritta.

Tempo di posa e diaframma

Scegliere quale parametro impostare per primo significa solo scegliere quale ghiera muovere per prima.

Vuoi scattare ad 1/125 perché stai fotografando persone che camminano a passo spedito? Bene, agisci sulla ghiera di destra e fai comparire il numerino rosso “125” sulla finestrella, poi agisci sulla ghiera di sinistra fino a far coincidere i due indicatori dell’esposimetro. L’apertura del diaframma dipenderà dal tempo d’esposizione scelto.

Vuoi invece usare un diaframma chiuso per avere più profondità di campo? Ottimo, muovi la ghiera di sinistra e scegli, ad esempio, il diaframma “16” che vedi con il numero nero sulla finestrella, poi agisci sulla ghiera di destra, quella dei tempi, fino a far, come prima, coincidere i due indici; giusto, pronti per lo scatto!

In questo gruppo meccanico che primeggia sul lato sinistro dell’apparecchio c’è anche un’altra finezza progettuale, l’indicazione della profondità di campo.

La profondità di campo

In tutte le macchine fotografiche di un certo livello dell’epoca (e anche attuali), era possibile leggere l’entità della profondità di campo attraverso una sorta di scala, che permetteva di valutare la distanza, da e fino a che, le scena scattata sarebbe risultata a fuoco in funzione del diaframma scelto. Paul Franke e Reinhold Heidecke vollero fare di più.

Due setti neri scoprono una fascia bianca la cui ampiezza ci indica, visivamente sulla scala della messa a fuoco, da quanti metri a quanti metri lo scatto risulterà a fuoco. Difficile la realizzazione meccanica ma facilissimo da leggere.

Questo è complicato da descrivere con le parole scritte, perciò ti rimando al filmato per capirlo meglio.

L’autoscatto

Oggi li chiamiamo “selfie”, un tempo si chiamavano “autoscatti”. La nostra Rolleiflex prevedeva anche questo.

Una volta fatta avanzare la pellicola e caricato l’otturatore, si poteva spostare la levetta indicata con una “V” e così caricare un temporizzatore che faceva scattare, dopo aver premuto il pulsante di scatto, la foto dopo circa dieci secondi. Il tempo concesso al fotografo di posizionarsi nel gruppo di famiglia oggetto dell’inquadratura.

La doppia esposizione

La favolosa meccanica della Rolleiflex consentiva di far avanzare il rollfilm attraverso la manovella, che si bloccava appena la pellicola era ben posizionata e l’otturatore caricato. Senza questo movimento della manovella, il pulsante di scatto non azionava l’otturatore. Ciò evitava il rischio di scattare foto senza aver fatto prima avanzare la pellicola.

Ma la macchina era destinata anche ai grandi creativi del tempo, che, in alcune occasioni avrebbero voluto effettuare doppie o triple esposizioni sullo stesso fotogramma.

Per non far avanzare la pellicola, ma comunque caricare l’otturatore, è sufficiente spostare la ghiera vicino alla manovella nella direzione indicata dalla freccia incisa e far ruotare la manovella, che in questo caso caricherà l’otturatore senza far avanzare la pellicola. Permettendo così due o più esposizioni sullo stesso fotogramma.

Avete capito di cosa si tratta?

Una fotocamera straordinaria! Forma e funzioni fuori dall’ordinario, tanto da essere diventata, come dicevamo all’inizio, la macchina fotografica per eccellenza.

Utilizzata dai fotoreporter, dai fotografi da studio (era la concorrente della Hasselblad), dagli artisti, dai geni della Street Photography, dagli appassionati evoluti.

Insomma una macchina senza precedenti, carica di innovazioni e di soluzioni geniali.

Oggi la fotografia è cambiata, il digitale offre soluzioni che vanno ben oltre le aspettative di un fotografo degli anni ’70 del secolo scorso ma, comunque, dobbiamo ringraziare i due soci, pionieri di una fotografia più semplice, più performante, come diremmo oggi. Un carico di innovazioni e genialità che ha fatto, sicuramente la storia. Della fotografia e della società.

Il Filmato

In questo filmato, pubblicato sul canale YouTube di Fotoritorno, vediamo in immagini molti dei dettagli descritti nell’articolo.


Un articolo, questo, che mi ha coinvolto, sia emotivamente che tecnicamente.

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